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Da una recensione
14/03/2004 19:47,
[81.174.2.90]
Un paio di belle scarpe adatte all'abito ma di una taglia troppo piccola.
Ecco come calza l'aggettivo "Neofolk" ad un gruppo come Ostara.
Nati all'ombra della grande quercia dei Death in June, figli di quella ristretta corrente decadente la cui strada fu segnata indelebilmente dagli insegnamenti del loro pigmalione Douglas Pierce, gli australiani Richard Leviathan e Timothy Jenn (nel 1996 già protagonisti assieme al succitato Douglas in "Kapò, un progetto assai discusso già dal nome ), sotto l'insegna di Strenght Through Joy hanno assimilato perfettamente la lezione impartita nella scuola della "Morte in Giugno". Ma se questo era quanto accadeva con l'album di esordio " The force of truth and lies", già nel secondo doppio cd "Salute to Light" iniziava il percorso lungo un sentiero più personale e meno manieristico, contaminado la seminalità del cosiddetto "sound neofolk" (ristretto nelle ritmiche semplici di chitarra acustica, percussioni e cantato ) con l'inserimento di campionamenti più o meno evidenziati.
A cambiamento di rotta segue cambiamento di nome.
Ed ecco che, quasi a volersi lasciare alle spalle un'esperienza già giunta a maturazione, il duo prende il nome della dea germanica della primavera.
OSTARA danno alle stampe il loro primo cd "Secret Homeland" e già è netta la svolta che si renderà ancor più visibile (udibile?) in "Kingdom Gone" (album che già allora fece storcere il naso ai "puristi" del genere): immancabili chitarra e percussioni inserite in un'area decisamente electro grazie all'uso della tastiera. Un sound melodico e soft, per nulla scontato, lontano forse dai rigori militareschi di quell'area folk che pareva ( e pare ) riscuotere i maggiori consensi, ma non per questo banale. Ballate cariche di struggimento, testi oscuri, arrangiamenti sofisticati. Tanto da poter coniare il termine "sound Ostara" per indicare una linea sonora originale e personale. Ben equilibrata, per raggiungere questo scopo, l'osmosi tra Richard e Timothy: concentrato sulla chitarra e sugli strumenti a corda (perciò più tradizionale) il primo, sperimentatore nell'area electro il secondo.
Probabilmente il termine "pop-apocalittico" ( qualcuno addirittura si è spinto a definirli "gli Oasis del Folk !! ) è quello che meglio riesce a definire il "sound Ostara" al quale, come detto in precedenza, il termine Neofolk già andava stretto in partenza, in un mercato sufficientemente saturo di gruppi che propongono un buon ( e anche no!) folk, buono ma pur sempre legato a degli stereotipi autocelebrativi che presto vengono a noia. Nel 2002 Timothy lascia la band, sostituito da un nuovo chitarrista e compositore ( Stuart Mason ) e da un tastierista ( Kari Hattakka).
Un anno dopo la Eis Und Licht dà alle stampe "Ultima Thule" , il nuovo capitolo della saga della dea primavera.
Ed è l'album del ribaltone.
Se già in precedenza il sound era un misto ben amalgamato di Neofolk e Darkwave, Ultima Thule rafforza ancor di più la decisione di Richard di cambiare rotta verso un suono più duro in alcune occasioni, ancora più pop in altre. O semplicemente di proporre nuovamente qualcosa di diverso. Spiazzante e assolutamente inaspettato, l'album è una specie di manifesto al coraggio di cambiare direzione, forse deludendo le aspettative di molti, forse aggiungendo qualche nome in più alla lista dei fans. "Rose of the World" è l'apripista, il pezzo che ha presentato in Italia il nuovo disco, grazie all'inserimento nella compilation di un diffuso dark-magazine.
In "Nightmere machine", "Does the truth make free?" , "Diva De Sade" il "sound Ostara" continua a far capolino, nelle melodie e nelle linee vocali, ma è l'uso della chitarra elettrica a rendere tutto più rock. "Ultima Thule" è forse il pezzo che maggiormente rispecchia i dettami del folk, mentre il brano più emotivo ed evocativo ( forse per il tema esoterico, forse per la carica mistica contradditoria che da sempre affascina l'Occidente insita nella figura stessa del Templare) è certamente "Proud Black Templar".
Tematiche già intrinsecamente presenti nel titolo stesso l'album, un rimando a culture passate e nascoste, come la Thule appunto, magico luogo indicato come l'ultima frontiera a Nord del Mondo e che i Greci indicavano col nome di Hyperborea.
Ma il riferimento mitico è solo uno dei fili che lega questa produzione, esso attraversa il sottile riferimento alla religione per arrivare al mito più moderno del Marchese de Sade. Un legame simbolico tra erotismo e spiritualità, due dei poli toccati in questo album.
Che dire ancora? Forse che Ostara, in questi anni, non ha smesso di stupire il suo pubblico e che chissà cosa ancora ci riserva in futuro? Una cosa è certa: senza avere la presunzione di voler diventare una sorta di avanguardia sperimentale del Folk, senza la presunzione di voler essere precursori o inventori di un nuovo genere, Richard Leviathan e i suoi soci han confenzionato un prodotto che segna il nuovo corso del "sound Ostara". Alla loro maniera e come gli piace di più.
Ai posteri l'ardua sentenza.
(testo by Monica / Nuancenoire)
Ecco come calza l'aggettivo "Neofolk" ad un gruppo come Ostara.
Nati all'ombra della grande quercia dei Death in June, figli di quella ristretta corrente decadente la cui strada fu segnata indelebilmente dagli insegnamenti del loro pigmalione Douglas Pierce, gli australiani Richard Leviathan e Timothy Jenn (nel 1996 già protagonisti assieme al succitato Douglas in "Kapò, un progetto assai discusso già dal nome ), sotto l'insegna di Strenght Through Joy hanno assimilato perfettamente la lezione impartita nella scuola della "Morte in Giugno". Ma se questo era quanto accadeva con l'album di esordio " The force of truth and lies", già nel secondo doppio cd "Salute to Light" iniziava il percorso lungo un sentiero più personale e meno manieristico, contaminado la seminalità del cosiddetto "sound neofolk" (ristretto nelle ritmiche semplici di chitarra acustica, percussioni e cantato ) con l'inserimento di campionamenti più o meno evidenziati.
A cambiamento di rotta segue cambiamento di nome.
Ed ecco che, quasi a volersi lasciare alle spalle un'esperienza già giunta a maturazione, il duo prende il nome della dea germanica della primavera.
OSTARA danno alle stampe il loro primo cd "Secret Homeland" e già è netta la svolta che si renderà ancor più visibile (udibile?) in "Kingdom Gone" (album che già allora fece storcere il naso ai "puristi" del genere): immancabili chitarra e percussioni inserite in un'area decisamente electro grazie all'uso della tastiera. Un sound melodico e soft, per nulla scontato, lontano forse dai rigori militareschi di quell'area folk che pareva ( e pare ) riscuotere i maggiori consensi, ma non per questo banale. Ballate cariche di struggimento, testi oscuri, arrangiamenti sofisticati. Tanto da poter coniare il termine "sound Ostara" per indicare una linea sonora originale e personale. Ben equilibrata, per raggiungere questo scopo, l'osmosi tra Richard e Timothy: concentrato sulla chitarra e sugli strumenti a corda (perciò più tradizionale) il primo, sperimentatore nell'area electro il secondo.
Probabilmente il termine "pop-apocalittico" ( qualcuno addirittura si è spinto a definirli "gli Oasis del Folk !! ) è quello che meglio riesce a definire il "sound Ostara" al quale, come detto in precedenza, il termine Neofolk già andava stretto in partenza, in un mercato sufficientemente saturo di gruppi che propongono un buon ( e anche no!) folk, buono ma pur sempre legato a degli stereotipi autocelebrativi che presto vengono a noia. Nel 2002 Timothy lascia la band, sostituito da un nuovo chitarrista e compositore ( Stuart Mason ) e da un tastierista ( Kari Hattakka).
Un anno dopo la Eis Und Licht dà alle stampe "Ultima Thule" , il nuovo capitolo della saga della dea primavera.
Ed è l'album del ribaltone.
Se già in precedenza il sound era un misto ben amalgamato di Neofolk e Darkwave, Ultima Thule rafforza ancor di più la decisione di Richard di cambiare rotta verso un suono più duro in alcune occasioni, ancora più pop in altre. O semplicemente di proporre nuovamente qualcosa di diverso. Spiazzante e assolutamente inaspettato, l'album è una specie di manifesto al coraggio di cambiare direzione, forse deludendo le aspettative di molti, forse aggiungendo qualche nome in più alla lista dei fans. "Rose of the World" è l'apripista, il pezzo che ha presentato in Italia il nuovo disco, grazie all'inserimento nella compilation di un diffuso dark-magazine.
In "Nightmere machine", "Does the truth make free?" , "Diva De Sade" il "sound Ostara" continua a far capolino, nelle melodie e nelle linee vocali, ma è l'uso della chitarra elettrica a rendere tutto più rock. "Ultima Thule" è forse il pezzo che maggiormente rispecchia i dettami del folk, mentre il brano più emotivo ed evocativo ( forse per il tema esoterico, forse per la carica mistica contradditoria che da sempre affascina l'Occidente insita nella figura stessa del Templare) è certamente "Proud Black Templar".
Tematiche già intrinsecamente presenti nel titolo stesso l'album, un rimando a culture passate e nascoste, come la Thule appunto, magico luogo indicato come l'ultima frontiera a Nord del Mondo e che i Greci indicavano col nome di Hyperborea.
Ma il riferimento mitico è solo uno dei fili che lega questa produzione, esso attraversa il sottile riferimento alla religione per arrivare al mito più moderno del Marchese de Sade. Un legame simbolico tra erotismo e spiritualità, due dei poli toccati in questo album.
Che dire ancora? Forse che Ostara, in questi anni, non ha smesso di stupire il suo pubblico e che chissà cosa ancora ci riserva in futuro? Una cosa è certa: senza avere la presunzione di voler diventare una sorta di avanguardia sperimentale del Folk, senza la presunzione di voler essere precursori o inventori di un nuovo genere, Richard Leviathan e i suoi soci han confenzionato un prodotto che segna il nuovo corso del "sound Ostara". Alla loro maniera e come gli piace di più.
Ai posteri l'ardua sentenza.
(testo by Monica / Nuancenoire)