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29/08/12

L'apocalisse secondo Michael Gira




‘The Seer’ è un mastodonte che buca il traguardo delle 2 ore. La nuova fatica in studio degli Swans di Michael Gira – sulla personale Young God - è un sogno nel cassetto, o meglio un’ossessione che ha accompagnato il nostro in 30 anni di onorata carriera. Con questo disco uno dei principali agitatori della New York degli anni ’80 tocca la sua vetta artistica, accomodandosi al fianco di leggende del nostro tempo come Nick Cave (un sostenitore sfegatato) ed Einsturzende Neubauten (non a caso il disco è stato registrato a Berlino, tra lo Studio P4 e la vecchia sala d’incisone degli stessi EN Andere Baustelle). Dopo una decade di assenza ed un funerale celebrato alla grande con il doppio live ‘Swans Are Dead’, Gira rispolvera il nome, facendo in modo che la puzza stantia di reunion sia a debita distanza. Quelli che sono i nuovi Swans non possono certo prescindere dalla recente esperienza – dai tratti decisamente acustici – di Angels of Light.

Affrontando nel dettaglio i punti salienti del doppio album (triplo per che si aggiudicherà la versione in vinile) è opportuno mettere dei paletti. Si parte con ‘Lunacy’, un anthem dai toni solenni, in cui le voci dei due Low Alan Sparhawk e Mimi Parker affiancano minacciosamente quella del leader. Per ascoltare la band nel pieno della sua forza motrice bisogna passare alla successiva ‘Mother of the World’, una furia matematica ispirata alle visioni del re cremisi e del suo vate Robert Fripp. Gli incroci percussivi dell’ex-Cop Shoot Cop Phil Puleo e di Thor Harris (Lisa Germano, Shearwater), preparano il terreno ad una delle più intense rappresentazioni sotto il profilo strumentale del gruppo.

I 32 minuti della traccia che titola il disco sono l’epitome dello Swans pensiero. Un’ascesa cacofonica testata nelle lunghe maratone dal vivo e portata a termine in studio con la benedizione dei ‘padrini’ tedeschi Amon Duul II. Un’esperienza biblica che proietta il mesto narratore Gira verso lidi infiniti. Perché la cultura dell’apocalisse, come la feroce critica sociale che mai ha abbandonato le sue liriche, continuano a foraggiare questa debordante cerimonia.

Cantata principalmente da Karen O degli Yeah Yeah Yeahs, ‘Song for the Warrior’ assomiglia ad una lettera al fronte, destinata a quel soldato che combatte oltre i confini del campo di battaglia. E’ come se attraverso immagini mistiche o situazioni surreali Gira cercasse di esorcizzare i suoi stessi fantasmi. C’è anche una voce che torna, quella di Jarboe, campionata letteralmente nella lunga ‘A Piece of the Sky’. Tra le tante esperienze catartiche di un disco che assomiglia sempre più a un capolavoro c’è anche la chiosa di ‘The Apostate’, che ci riporta a quegli Swans proto-industrial, che definitivamente segnarono la desolata New York degli ’80. Non un ritorno in senso stretto, ‘The Seer’ è semmai la definitiva rivalsa degli Swans su tutto ciò che ancora oggi ci ostiniamo a definire noise-rock.


17/09/10

Nuovo album per gli Swans su Young God Records

Ci sono uomini - rari fuoriclasse invero - che sanno prendere una squadra per mano. Michael Gira dal canto suo, dopo aver fatto a lungo il gregari ma anche il talent-scount (vi basti il nome di un esordiente Devendra Banhart), si riprende i suoi Swans. La creatura che mai aveva più osato rievocare. Nemmeno fosse un'inquietante personaggio biblico, il cui solo ritorno sulla terra avrebbe portato a chissà quali catastrofiche conseguenze.
Nel mezzo c'è stata la sua carriera solista, dalla crepuscolare vena cantautorale alle più sofiste evoluzioni di Angels Of Light, comunque lontane dal frastuono della New York anni '80.
In un raptus quasi estatico gli Swans si riformano, con un organico ovviamente rivoluzionato. Sono della partita Norman Westberg – chitarra (dalla formazione originale) - Christoph Hahn – chitarra (Swans medio periodo ed Angels Of Light) - Phil Puleo batteria, percussioni, dulcimer (Cop Shoot Cop, Angels Of Light) - Chris Pravdica – basso (Flux Information Sciences / Services/ Gunga Din) - Thor Harris - batteria, percussioni, vibrafono, dulcimer (Angels Of Light, Shearwater)
Deve esser stata una decisione sofferta ad ogni buon conto, tanto che l'argomento Swans è spesso un tabù nelle interviste rilasciate da Gira. Ma ecco puntuale lo statement: questa non è una reunion. Non è un patetico atto nostalgico. Non è una bieca ripetizione del passato. Dopo cinque album con gli Angels of Light , avevo bisogno di uno stimolo per andare avanti, verso una nuova direzione. L'idea stessa di rinverdire gli Swans mi ha permesso di farlo.
My Father Will Guide Me Up a Rope to the Sky è l'album che in molti attendevano, pur essendo profondamente diverso e altrettanto potente. Si apre con l'epicità di “No Words / No Thoughts,” ma presto dirotta verso territori più'pastorali' con quella che è una vocazione naturale di Gira per la musica folk. E' il risveglio del gigante, tumultuoso quanto volete, ma pur sempre preda di mistiche fascinazioni.

Ascolta il brano "Eden Prison"

25/05/12

Il controverso debutto major degli Swans




Pubblicato originariamente nel 1989, The Burning World rappresentò una sorta di spartiacque nella carriera del gruppo newyorkese. Dopo aver destabilizzato la cultura underground americana, con un approccio da molti sommariamente definito come ‘industrial-rock’, la band di Michael Gira vira verso un approccio più mediato, ridefinendo un’inedita forma canzone, compresa sicuramente di scrosci goth. Questo è stato il loro debutto per una major, il primo ed ultimo disco ad essere licenziato ad una multinazionale, circostanza anomala per un uomo che ha sempre preferito gestire autonomamente i propri affari.

La ristampa curata da Water – per un disco fuori commercio da tempo immemore – rende giustizia ad uno dei lavori a torto meno considerati della band. Prodotto da un’altra figura imponente della scena di New York – quel Bill Laswell che con i suoi Material e Massacre avrebbe cambiato radicalmente molte delle connessioni, tra dance, rock e avanguardia -  il disco presentava degli sviluppi inediti nella storia degli Swans. Disco crepuscolare, lirico, in cui i membri stabili della formazione – la vocalist Jarboe e il chitarrista Norman Westberg – sono affiancati da uno stuolo di musicisti imponente. Non mancano fraseggi etno-world e suggestioni decisamente terzomondiste in The Burning World, merito anche degli interventi di Nicky Skopelitis (baglama, bazouki), Shankar (doppio violino), Fred Frith (violino), Aiyb Dieng (percussioni) e Trilok Gurtu (tablas). Sorprendente poi l’oscura rivisitazione di ‘Can’t Find My Way Home’, brano a firma Steve Winwood e originariamente apparso nell’omonimo dei Blind Faith. Disco da recuperare assolutamente, un capitolo solo apparentemente inedito nella storia comunque epica degli Swans.


10/04/07

Torna Michael Gira con un nuovo, splendido album


Uscirà ad Agosto, pubblicato dalla Young God Records, il nuovo album del musicista americano intitolato "We are him". Un album dove l'ex leader degli Swans si fa accompagnare da eccellenti musicisti del calibro di Christoph Hahn (Swans, Angels Of Light), Bill Riefli (REM, Ministry, Robert Fripp,Robyn Hitchcock), Julia Kent (Antony and The Johnsons), Steve Moses (Alice Donut), e molti altri...
ecco i commenti di chi ha potuto ascoltarlo in anteprima:

"the moment I played -we are him- my heart exploded with the feeling 'that voice!!!!!!' and it has done it to me everytime I have ever heard it. From my first cassette of filth to this newest work, michael gira's singing is my favorite gentle violence and lovers strangulation. Now is the best he has ever sounded and I cannot without sounding insanely thrilled express how much this means to me. -we are him- is touching, frightening, wonderfully different and whole." - Jamie Stewart / Xiu Xiu

"Michael’s shirtless screaming is now finally reborn into something closer to the intensity of Nina Simone than punk rock. The song forms are now clear and strong enough to support vocal performances that sometimes sound like a 25-year-old Michael simultaneously hallucinating and dictating the dark underbelly of the Amercian Dream. And now that this strength and intensity is firmly rooted in tradition it can take on a whole new level of meaning and interplay and understanding that I find simply wonderful. This is not indie rock or Americana, this is authentic American music; or as Gram Parsons said, ' Cosmic American Music ' " - Seth Olinsky / Akron/Family

"Michael Gira is one of maybe ten people in the whole world who inspired me to pick up a guitar and try to write songs in the first place. He continues to be a tremendous influence on me. A new Angels of Light record is always cause for celebration around our house, and though each one is always better than the last, this new one is going to be hard to top… Forget everything you know about Michael Gira and Angels of Light, even if you love everything you know about Michael Gira and Angels of Light (which I most certainly do) - We Are Him is an indimidatingly great album and a highlight in a career of highlights…. Michael Gira taught me that you don't need to play loud to play heavy, you don't need to compromise to be a success to those who really count, and all you need to make rock and roll soup is some piss, some vomit, a little blood, and a few hundred wet cigarette butts." - James Toth / Wooden Wand

per averne un assaggio, ecco un pratico link

24/10/08

Un nuovo album per gli Psychic TV di Genesis P-Orridge



Torna la chiesa della gioventù psichica di Genesis Breyer P-Orridge, in assoluto una delle menti più floride dell’Inghilterra degli ultimi 30 anni, terrorista concettuale e sonico sin dai tempi di Coum Transmission e Throbbing Gristle. Con la sigla PTV3 è tempo di dare alle stampe il nuovo album, dal programmatico titolo "Mr. Alien Brain vs The Skinwalkers", prodotto dallo stesso Genesis in combutta con Edward ODowd, sotto la sigla Angry Love Productions. Molte delle nuove tracce sono state registrate dal vivo durante la trasmissione "World Cafe" , presso gli studi WXPN-FM di Philadelphia, nel maggio 2008. Gli altri contributi arrivano da una performance del 2007 presso il Galapagos Arts Space di Brooklyn. La prima tiratura del disco sarà accompagnata da un DVD di 30 minuti, ricco di contenuti speciali (imperdibile un piccolo filmato on the road diretto dalla regista indipendente Marie Losier). Il disco è naturalmente dedicato alla memoria di Lady Jaye Breyer P-Orridge, compagna di Genesis scomparsa tragicamente nel 2007. In questa incarnazione degli Psychic TV, ritroviamo la compianta Lady Jaye (voce e percussioni), Edley ODowd (del gruppo glam punk Toilet Boys, alla batteria ed alle percussioni), Hanna Haddix (campionatori e percussioni), Marrkus Aurelius Cirkus Maximus Fabulous Perrson (tastiere), David XXX Maxxx (chitarre e voce, direttamente dai The Tadpoles), Alice Genese (basso e voce, ex di Pretty Boys, Candy Ass e Gutbank) e naturalmente Genesis Breyer P-Orridge, diviso tra basso elettrico trattato, voce e percussioni. Come ben noto New York è la nuova residenza di Genesis e dei suoi accoliti, che messe da parte le tendenze cyber-punk che ne segnarono gli esordi, virano verso un audace e rumoroso rock, che prevede parti eguali di psichedelia e glam. Il gruppo ci tiene a ribadire che il disco è una naturale testimonianza di quanto accaduto durante i loro spettacoli, senza sovraincisioni di sorta, un flusso continuo in cui si libera il magico estro dei nostri. La scomparsa di Lady Jaye risale al 9 di Ottobre del 2007. Successivamente a quel funesto evento il gruppo registrerà parte di questo intenso documento. Un tributo davvero trascendentale. L’album contiene anche un prezioso remix curato da Michael Gira (Angels of Light, Swans). Un documento che chiude una fase storica importantissima e sofferta, per inaugurarne una altrettanto produttiva. Non perdeteli nel loro imminente tour europeo, con date italiane che toccheranno il nostro paese a fine novembre.

27 novembre ROMA Init
28 novembre PADOVA Unwound
29 novembre PRATO Siddharta

27/03/12

I 20 anni degli Unsane, ancora sangue e sudore


Non c’è tregua a Gotham City. Ne sa qualcosa Chris Spencer che da vent’anni è il frontman degli Unsane, il power trio per antonomasia della New York City che mai cederà alle lusinghe del mondo della moda. Tempo di celebrazioni, nel sangue evidentemente, come la copertina del nuovo ‘Wreck’ sta bene ad indicare. E’ una truculenta estasi quella cui ci hanno abituati i tre che nel tagliare il traguardo del ventennale si fanno beffa di quanti ancora scherzano con l’elettricità. Per il loro settimo disco cambiano nuovamente casa, accomodandosi presso un buongustaio del rumore bianco: Jello Biafra.

Registrato dal produttore Andrew Schneider presso il Translator Audio (Shrinebuilder, Keelhaul, etc.), di Brooklyn, Wreck esce per Alternative Tentacles, confermando quanto le paranoie professate agli albori dei ’90 siano ancora di stretta attualità. Un suono denso, claustrofobico, che gioca ancora su massa e volumi, nella triangolazione perfetta tra chitarra, basso e batteria. Gli ultimi due ruoli occupati rispettivamente da Dave Curran e da un altro veterano come Vinnie Signorelli (al tempo già al servizio degli Swans). Difficile riprendersi dallo shock iniziale di “Rat” e dall’assalto all’arma Bianca di “Decay”, qualora riusciste a dribblare l’ostacolo c’è sempre il monolite “No Chance” ed il trascendentale lavoro di testa di “Stuck”. Poesia urbana impacchetta con intensa fierezza, terrore che trasborda dai solchi, come in un ultima corsa nei sobborghi della metropoli. Materia blues polverizzata per un definitivo tributo alla cultura dell’eccesso, decadente o primitiva che si voglia definire, la musica degli Unsane continua a suonare come un sinistro allarme per il pubblico occidentale. E per la serie una risata vi seppellirà’ il disco si chiude proprio con la velenosa ‘Ha Ha Ha’ dei Flipper.

28/11/08

Xela - In Bocca Al Lupo

John Twells oltre a specchiarsi nel nome d’arte Xela è anche direttore artistico e proprietario dell’etichetta Type. Il suo approccio musicale guarda ben oltre gli steccati del genere elettro-acustico, incorporando spesso e volentieri elementi estranei, che danno una dimensione molto ampia del suo soffio artistico. Piuttosto che citare compositori moderni, o prodigiosi interpreti del verbo digitale, John Xela guarda con spirito del tutto avanguardista alla musica sacra e al cinema. Mettendo a nudo le sue influenze, non perde occasione di citare Dario Argento, Lucio Fulci, George Romero, Umberto Lenzi, John Carpenter e Lamberto Bava, registi che hanno sempre valutato fondamentale l’idea di ‚suono’ nelle loro pellicole. Questo passaggio è stato evidente nel suo penultimo album da studio The Dead Sea, macabra discesa nei meandri del soundtrack horror, grazie ad un’efficace produzione strumentale in grado di citare ambient siolazionista, spettrale folk music ed elettronica ante-litteram. Da qualche parte tra gli scenari retro-futuristi del BBC Radiophonic Workshop e la cosiddetta grey area (altro modo per indicare le culture ‚industriali’ di inizio 80, sulal falsa riga dell’omonima collanana Mute).
Ancora più immerso in questi magmatici scenari è il nuovo cimento da studio a titolo In Bocca Al Lupo, quasi un eufemismo se pensiamo alle sinistre atmosfere evocate dal solo John. Nel particolare si tratta di una composizione di 60 minuti concepita per un’ orrorifica installazione in quel di Chicago. Per giungere alla definizione di questo tema, Xela ha spesso visitato le antiche basiliche e cattedrali italiane e spagnole, per scorgerne nell’architettura ulteriori elementi di ispirazione.
E’ evidente come questo album sia ulteriore sforzo nella definizione di un genere proprio, atipico, dove in completa assenza del ritmo, si spolvera tutta l’inventiva del mezzo analogico, delle sue remote possibilità e della potenza descrittiva della musica in sé. Un suono che sicuramente non può prescindere dagli oscuri scenari in cui è concepito, un cinema per le orecchie, un’acquatica sala degli orrori. Rievocando in parte la morte statica del David Lynch di Eraserhead come le pieghe più rarefatte dei nuovi terroristi sonici – leggete alla voce Wolf Eyes, Hair Police e Yellow Swans – Xela ci consegna con In Bocca Al Lupo il definitivo – e sprezzante – manifesto horror di questo decennio.

10/12/08

"Tundra" il nuovo album degli Enablers



Si dice che tre sia il numero perfetto o anche il numero magico. Meglio la seconda – di ipotesi – perché gli Enablers, californiani di San Francisco, sicuramente saranno in grado di regalarci ulteriori emozioni, attraverso la loro musica, vibrante e mistica. Si chiama Tundra il loro nuovo e terzo album che uscirà a fine gennaio per l’emerita indipendente tedesca Exile On Mainstream. Il background musicale dei nostri è tutto meno che trascurabile. Sono infatti gloriosi i trascorsi dei quattro, che in epoche sostanzialmente diverse hanno prestato servizio in gruppi più o meno mitologici dell’underground a stelle e strisce. La lista è lunga e prevede nomi quali Swans, Toiling Midgets, Timco, Nice Strong Arm, Tarnation e Broken Horse. Dopo i due album pubblicati dalla solerte Neurot gli Enablers si riaffacciano sul mercato con quella che è la loro opera forse più complessa e poetica. Visionaria nelle sue trame da rock del dopo bomba, una psichedelia che definiremmo apocalittica, senza apparire affatto sensazionali. E’ chiaro che la loro cifra musicale è figlia dei tardi anni 80 come dei primi 90, periodi artisticamente sensibili alle più propulsive innovazioni. Tundra è dunque l’album che segna una sostanziale svolta nel songwriting del gruppo: più dettagliato nei risvolti ritmici, più ricercato nelle atmosfere. L’abilità nel reinventarsi è il succo della questione, quella che era la formula originaria – un solido slo-core con momenti più rocciosi ed una voce sempre prossima al recitato – viene snellita attraverso una scrittura più brillante, tanto da risultare in un disco dalle forti sfumature romantiche ed avant-rock. L’album uscirà in edizione limitata per l’Europa - 1200 copie disponibili per l’intero territorio – in un lussuoso cofanetto in legno intarsiato a mano ed un cassettino di velluto rosso.

29/03/13

Akron Family ed un sublime pop orchestrale





Deve esser passato quasi un secolo da quando ho visto per la prima volta gli Akron/Family esibirsi dal vivo, in un piccolo retrobottega di un bar di Brooklyn che conteneva al massimo 20 persone. Gli Akron erano sulle sedie di un piccolo palco, corredato da festoni di velluto rosso e piccolo bulbi luminescenti da teatro. I giovani ragazzi stringevano le loro chitarre o percuotevano gentilmente la batteria a loro disposizione, apparentemente cercando di non sfaldare il loro set (circostanza che avrebbe portato a risultati disastrosi). Cavetti ed ulteriori corde attraversano le loro gambe, la loro era una delicata forma di improvvisazione e – cosa straordinaria – punteggiata da 4 meravigliose voci in armonia.

Di tempo ne è passato e ricordo di averli visti in un club europeo in cui fecero registrare il tutto esaurito. Pensai: aspetta, questi sono i fottuti Led Zeppelin! E nella mia agenda questo è sicuramente un voto di approvazione. Naturalmente non avevano nulla a che spartire con i LZ, ma qualcosa relativamente al loro impegno ed alla forza del loro suono evocava una dimensione decisamente rock, pur mantenendo un approccio avventuroso ed una tendenza a far scivolare le composizioni in una sorta di caos organizzato, per poi riportarle magicamente ad una purezza sonora istintiva. Incredibili ed anche molto divertenti.
 
Altro tempo e la loro idolatria nei confronti dei Beatles del tardo periodo è affiorata con forza, pur se filtrata attraverso le lenti di una tendenza idiosincratica a rimodellare le cose in maniera rovinosa, cambiando atmosfera o contesto all’ istante...

Con lo scorrere degli anni anche la devozione nei confronti del free jazz e della profonda   meditazione sonica sono balzate al centro, sposando sempre il loro approccio unico all’armonia vocale e a melodie franche ed affilate. Ora il gruppo continua ad esprimere il suo poliedrico approccio rock, quasi un caleidoscopio che emerge in superficie. Le influenze sono molteplici, si coalizzano per un secondo e subito dopo si dissolvono in qualcosa di nuovo ed inaspettato. Sono dei giocolieri anfetaminici  che lavorano con perizia al suono ed alle tessitura dello stesso, ma ci sono sempre quelle voci, avvolgenti come in un accogliente spazio domestico profondo.

Non ci sono comma invertiti nel mondo degli Akron Family. Loro sono dentro alla musica, la combattono, la digeriscono e poi la proiettano nell’alto dei cieli utilizzando uno spray multicolore fatto di armonie infinite ed amore.

Parole e commenti scritti in maniera random da Michael Gira degli Swans durante l’ascolto di Sub Verses, il nuovo album degli Akron Family prodotto da  Randall Dunn (Boris, Cave Singers, Sunn O))), Black Mountain). Dall’uomo che li ha scoperti e lanciati uno dei report più attendibili.